RTDb, ASN e petizioni – il parere dei precari

Dopo anni di “magra” per i precari delle università, la legge di bilancio approvata lo scorso dicembre prevede un piano straordinario per 1.300 posizioni da ricercatore di tipo “b” (RTDb): posizioni in tenure track, che permettono l’ingresso in ruolo come professori associati dopo tre anni, nel caso in cui (tra le altre condizioni) si riesca ad ottenere l’abilitazione scientifica come professori associati durante il triennio.

C’è da dire che questi 1.300 posti sono pochini, basta pensare che nel solo 2017 sono andati in pensione 1.700 ricercatori e docenti di ruolo, per non parlare del fatto che abbiamo circa 40.000 ricercatori precari nelle nostre università.

Ad ogni modo, per i poveri precari questi posti sono più che benvenuti, dato che gli Atenei nel dopo Gelmini hanno speso i pochi punti organico a disposizione quasi unicamente per progressioni di carriera, e non per il reclutamento.

Ancora non è stata diramata da parte del Ministero una comunicazione relativa alla distribuzione di tali 1.300 posti, che secondo la legge di bilancio devono essere assegnati “con gli obiettivi, di pari importanza, di riequilibrare la presenza di giovani ricercatori nei vari territori, nonche’ di valorizzare la qualita’ dei livelli di ricerca delle diverse aree disciplinari e di individuare specifiche aree strategiche della ricerca scientifica e tecnologica”, e già nei corridoi dei vari Atenei si comincia a discuterne con un discreto interesse.

Anche sui social media c’è un notevole fermento sull’argomento, ed in particolar modo ci ha colpito la diffusione di una campagna per far sì che l’abilitazione scientifica sia considerata requisito necessario per l’accesso a tali posizioni da RTDb e quindi che il piano straordinario per 1.300 posizioni RTDb sia riservato ai soli titolari dell’ASN, in nome di una “meritocrazia” che ci suona un po’ troppo miope.

Si tratta di una proposta balzana che viola in modo clamoroso il principio della massima partecipazione alle procedure concorsuali, escludendo dalla competizione RTDa e assegnisti che hanno ormai acquisito il diritto di partecipare a concorsi per posizioni RTDb.

È inoltre evidente che un cambiamento “in corsa” dei criteri di accesso sarebbe troppo penalizzante per i ricercatori precari ma anche illogico ed ingiusto, perché lascerebbe i RTDa senza alcuna possibilità di prosecuzione della propria carriera, se non quella di acquisire l’ASN nei primi anni del contratto, il che pare una richiesta francamente eccessiva.

L’attuale assetto normativo, invece, non penalizza i soggetti abilitati, che possono già partecipare alle procedure concorsuali per RTDb, sottoponendosi alla valutazione comparativa con gli altri studiosi, in base alla quale possa prevalere il più meritevole.

Un’ultima considerazione. Bisogna riconoscere che attualmente il possesso dell’abilitazione scientifica è già, in molti settori, diventato il requisito di accesso per le posizioni da RTDb, in quanto si vuole evitare che tali posizioni siano “bruciate”, nel caso in cui il candidato non si riesca ad abilitare nel corso del triennio. Rendere l’ASN la “conditio sine qua non” per la partecipazione a concorsi RTDb ci sembra, in conclusione, solo un’ulteriore beffa per la generazione degli ex-giovani ricercatori, che hanno avuto la sfortuna di trovarsi nella metà sbagliata di quel Muro di Berlino che è la legge Gelmini.

Il Consiglio Direttivo di ARTeD

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