Il paradosso dei Ricercatori a Tempo Determinato

 

Un elenco di Incongruenze attorno alla figura del Ricercatore TD

Gli RTD e la didattica

Le modalità di partecipazione alla didattica istituzionale da parte degli RTD è un primo nodo non chiaro. Questa incongruenza risiede principalmente nella differenziazione fra le figure di RTD normate dalla L. 230/2005, di seguito chiamati “RTD Moratti”, e gli RTD normati dalla L. 240/2010, di seguito chiamati genericamente “RTD Gelmini”. I primi nascono come figure votate quasi esclusivamente alla ricerca, alle quali viene chiesto un supporto nella fase di didattica integrativa (rif. L. 230/2010, Art. 1, Comma 14), mentre ai secondi viene richiesto un impegno nella attività didattica (rif. L. 240/2010, Art. 24, Comma 1;4). Questa differenza, non di poco conto, di fatto modifica la connotazione della figura RTD. Dal momento che gli RTD “Moratti” e “Gelmini” di fatto sono stati equiparati sia a livello nazionale (vedi accesso alle figure RTD/b) che a livello dei singoli Atenei, questa equiparazione è stata nella maggior parte dei casi estesa anche alla didattica, caricando le figure RTD “Moratti” di oneri didattici che non rientravano nei loro compiti. Questa operazione è nata evidentemente per sopperire alla sempre più gravosa carenza di organico all’interno delle Università nella copertura dei corsi, consentendo nel contempo ai CdL di poter far rientrare gli RTD nel conteggio dei requisiti minimi (rif. DM n. 17/2010). Per contro molti RTD hanno accettato tale imposizione, consapevoli del valore che assume la didattica per la valutazione della figura del ricercatore, particolarmente rilevante in alcuni settori disciplinari. Questo ha innescato una spirale per la quale gli RTD sono stati considerati come “ancora di salvezza” per consentire, per quanto possibile, alle Scuole e ai singoli CdL di sopravvivere, distorcendo di fatto la figura originale degli RTD, alimentando in particolare la figura dell’RTD auto-finanziato come mezzo per garantire a costo zero per la struttura la copertura didattica, indebolendo molto la figura dell’RTD Moratti su fondi ministeriali.

Gli RTD e i punti organico

Il sistema di reclutamento dell’università Italiana è vincolato dal budget di punti organico (p.o.) a disposizione di ogni singolo ateneo. La distribuzione dei p.o. su base annuale deriva dal sistema di turnover che allo stato attuale (26/07/2013) è fissato al 20%. Ciò vuol dire che, tutti i p.o. rientranti a causa di licenziamenti, pensionamenti e decessi vengono ridistribuiti per l’anno successivo tagliati dell’80%. I p.o. necessari per bandire qualsiasi tipo di posizione con fondi di ateneo sono così ripartiti:

  • 1    p.o. PROFESSORE ORDINARIO
  • 0.7 p.o. PROFESSORE ASSOCIATO
  • 0.5+0.2 p.o. RICERCATORE A TEMPO DETERMINATO di tipo b “tenure track” (legge 240/2010 art.24 comma 3b). In questo caso si allocano 0.5 p.o. immediati ma con richiesta di rendere disponibili altri 0.2 punti organico per il successivo bando per professore associato
  • 0.5 p.o. RICERCATORE A TEMPO DETERMINATO di tipo a (legge 240/2010 art.24 comma 3a)
  • 0.5 p.o. RICERCATORE A TEMPO INDETERMINATO
  • 0.3 p.o. PERSONALE TECNICO-AMMINISTRATIVO

Dalla suddivisione dei vari ruoli risulta ben chiaro che in termini di p.o. è estremamente favorevole agevolare il passaggio di un ricercatore a tempo indeterminato al ruolo di professore associato (la differenza di p.o. da allocare è 0.2) rispetto a bandire una nuova posizione di tipo tenure track per la quale andrebbero allocati nella pratica 0.7 p.o. L’anomalia più evidente risiede nel fatto che tutte le posizioni da ricercatore a tempo determinato finanziate esternamente hanno un peso in termini di p.o. pari a 0. Per tali posizioni è obbligatoria la didattica frontale per cui, grazie a questo sistema, gli atenei sono ben propensi ad accettare posizioni del genere in quanto, nei fatti, si garantiscono copertura didattica a costo 0. Alla luce di quanto esposto risulta molto complicato garantire un numero di concorsi da ricercatore a tempo determinato di tipo tenure track congruo rispetto al numero di possibili candidati presenti negli atenei italiani.

Gli RTD e la ricerca

Gli RTD sono figure che prevedono di essere finanziate su fondi ministeriali, cofinanziate o auto-finanziate. Nella maggior pare dei casi è reso esplicito nel contratto l’indirizzo della ricerca che la figura deve coprire e portare a termine, il che implica un obbligo per il ricercatore nell’impiegare tutte le ore di ricerca a tale fine, di fatto escludendo la possibilità che venga usato il proprio tempo per altre ricerche, partecipando a progetti nazionali ed internazionali (attraverso esposizione di ore) o essendo responsabili di proprie ricerche. In alcuni casi viene di fatto impedito al ricercatore di avere dei fondi personali, limitando pesantemente la ricerca dell’RTD e equiparandolo da questo punto di vista ad un assegnista. Accanto alla evidente limitazione nell’accesso ad “altri” progetti che non siano quelli previsti dal contratto, questa condizione è incongruente con le condizioni poste dalle abilitazioni nazionali, che invece richiedono che il ricercatore dimostri una comprovata capacità di coordinare o dirigere un gruppo di ricerca, la capacità di attrarre finanziamenti competitivi almeno in qualità di responsabile locale e la capacità di promuovere attività di trasferimento tecnologico (rif. DM 76 del 7 giugno 2012, Art. 5, Comma 5). In aggiunta un profilo scientifico ad ampio spettro, quindi su una molteplicità di ricerche, è sicuramente di maggior valore rispetto ad una produttività legata ad un solo progetto.

Gli RTD e le abiltazioni nazionali

Il conseguimento della abilitazione nazionale, così come riportato dalla L 240/2010 (rif. L. 240/2010, Art. 16, Comma 1), prevede di poter accedere alla seconda fascia entro 4 anni dal conseguimento della stessa. Questo lasso di tempo è stato considerando per consentire una programmazione delle chiamate da parte dei Dipartimenti di figure già strutturate a tempo indeterminato. Questa procedura riportata sulla figura dell’RTD presenta una macroscopica incongruenza legata proprio al rapporto fra la durata dell’abilitazione e quella della entrata nell’anno di “tenure track”. Tale passaggio avviene all’interno del terzo anno di un RTD/b (rif. L. 240/2010, Art. 24, Comma 5) previa verifica di conseguimento della abilitazione scientifica nazionale. In altre parole questo significa che il ricercatore deve essere in possesso di tale titolo al termine dei tre anni da RTD/b, conseguendolo prima o durante i tre anni. Ma, proprio in virtù dell’ingente costo che le figure RTD/b comportano in termini di p.o. (punti organico), molti Atenei/Dipartimenti iniziano a valutare il conseguimento della abilitazione come un aspetto essenziale per la chiamata di un RTD/b, per evitare che si possa verificare la condizione di mancata abilitazione di un Ricercatore Senior. Date queste condizioni, perché un ricercatore possa usufruire di una sola abilitazione nazionale, deve essere chiamato entro e non oltre un anno dal conseguimento della abilitazione stessa, pena la necessaria ripresentazione della domanda.

Un secondo aspetto importante da sottolineare riguarda il tempo a disposizione di un RTD per poter raggiungere un livello di maturità scientifica e rientrare nei parametri minimi (mediane) previsti dalle abilitazioni all’interno dei singoli settori disciplinari (DM 07/06/12 n.76). Questo calcolo, pur considerando fra i valori l’età accademica, prevede la verifica della produttività scientifica degli ultimi 10 anni, un tempo nel quale i ricercatore ha modo di condurre ricerche e un livello di produttività scientifica coerente con i criteri descritti dalle abilitazion. L’incoerenza in tal senso riguarda il fatto che gli RTD non hanno a disposizione un lasso di tempo di 10 anni, pur sommando un eventuale periodo dottorale e da assegnista, nel quale comunque la maturità scientifica del ricercatore è in fase di formazione. Quindi un ricercatore “Moratti” o Gelmini” si trova ad avere a disposizione un numero di anni decisamente più basso per conseguire un livello di produttività paragonabile a ricercatori a tempo determinato che lavorano da 10 anni nel settore, con conseguente grande difficoltà nel poter rientrare negli indicatori previsti dalle abilitazioni nazionali.

Gli RTD e il diritto di voto/rappresentanza

Questo aspetto non viene trattato nelle leggi 230/2005 e 240/2010, pertanto è demandato ai regolamenti dei singoli Atenei la definizione del valore da assegnare al voto e alle rappresentanze degli RTD all’interno delle Strutture Istituzionali, definendo le modalità con le quali gli RTD possono eventualmente partecipare agli organi collegiali e votare all’interno del Dipartimento e dell’Ateneo. Questa lacuna normativa a livello nazionale ha generato una notevole incongruenza in termini di rappresentanza e voto a seconda degli Atenei. A livello di diritto di rappresentanza, non tutti gli RTD possono partecipare agli organi di Ateneo (Senato Accademico, Consigli di Amministrazione ecc) poiché all’interno dello statuto non vengono riconosciuti come figure che devono essere rappresentate e di conseguenza elette. Un secondo elemento di incongruenza riguarda il diritto e il valore del voto, poiché in alcuni Atenei è equiparato alle altre figure strutturate, in altri vale il 30%, fino ad arrivare a casi estremi in cui un RTD Moratti o RTD/a arriva a pesare il 2% del voto di personale strutturato o RTD/b (rif. D.R 1 del 4/02/13, Art. 2, Comma 2 della Università di Trento).

Gli RTD e la tutela dei diritti del lavoratore in condizione di disabilità (ex L.104/92) 

Le Università sono l’unica istituzione tra quelle pubbliche e private le cui attività, pur non rientrando in quelle escluse dall’art.5 (L.68, 12 marzo 1999), non sono tutte pariteticamente soggette all’applicazione delle norme per la tutela dei lavoratori disabili previste dalla suddetta legge.

Per i precari della ricerca che nel lungo precariato siano incorsi in condizione di invalidità o Handicap, e la cui competenze risultino accertate mediante Abilitazione Nazionale o concorso pubblico per titoli ed esami, non valgono le tutele previste per tutti gli altri lavoratori riconosciuti dalla L.104 in fatto di quote di riserva conformi alle capacità lavorative, diversamente a tutti i datori di lavoro pubblico che invece effettuano le assunzioni in conformità dell’Art.36, DL n.29 1993.

Sono così vanificati i presupposti della L.104 inerenti le agevolazioni lavorative e sanitarie, non essendovi poi nella progressione di carriera degli RTD e dei precari della ricerca alcuna forma di tutela che garantisca effettive condizioni di parità e la rimozione dei fattori di discriminazione.