Panoramica ARTeD sulle ultime novità che interessano i Ricercatori a Tempo Determinato e tutto il mondo della Ricerca e dell’Università.
La mortificazione della ricerca
Sfruttando le distrazioni estive di un’opinione pubblica sempre più disinteressata alla politica – come evidenziato dal crescente tasso di astensionismo durante le varie elezioni -, il Consiglio dei Ministri ha approvato in data 7 agosto 2024 un Disegno di legge in materia di valorizzazione e promozione della ricerca, (https://www.uniarted.it/wp-content/uploads/2024/09/DDL-valorizzazione-ricerca.pdf) da portare alla discussione parlamentare nelle prossime settimane. Tale DdL rischia di demoralizzare ulteriormente le migliaia di ricercatrici e ricercatori in attività presso gli Atenei italiani, già vittime della precarietà dei loro contratti e di una costante incertezza sul proprio futuro.
La “cassetta degli attrezzi” – così battezzata dalla Ministra Bernini con l’intento di evidenziarne la natura di strumento flessibile ed efficace a disposizione degli Atenei – prevede infatti una moltiplicazione degli istituti contrattuali inquadrabili nel cosiddetto “pre-ruolo”, ovvero la fase della carriera successiva al conseguimento del dottorato di ricerca e precedente all’immissione in una posizione a tempo indeterminato.
Nonostante i proclami della Ministra, un simile provvedimento non potrà che peggiorare la condizione di precariato di giovani ricercatrici e ricercatori, diminuendone diritti e tutele e frustrandone le prospettive di stabilizzazione. Così facendo, non si mortifica soltanto il lavoro di chi contribuisce in maniera fondamentale al funzionamento del sistema universitario, ma si mette anche una pesante pietra tombale sulle prospettive di rilancio della ricerca in Italia.
La “cassetta degli attrezzi”: un attacco alle tutele dei ricercatori e alla Legge 79
Nel giugno 2022, dopo un lungo iter parlamentare che ha visto accolti diversi suggerimenti da parte di ARTeD, l’Associazione che rappresenta i Ricercatori a Tempo Determinato, la Legge 79, all’art. 14, (https://www.uniarted.it/wp-content/uploads/2024/09/9712.pdf) aveva finalmente abolito la figura del RTDa, strutturato ma a tempo determinato e senza prospettive, e l’assegno di ricerca, un contratto di collaborazione con poche tutele. Al loro posto, veniva istituita un’unica posizione di ricercatore in tenure-track (RTT), equiparabile al vecchio RTDb, pure eliminato, e introdotto il contratto di ricerca. Quest’ultimo, a tutti gli effetti un rapporto di lavoro di tipo subordinato con garanzia di piene tutele, giace però ancora inutilizzato, dal momento che la legge assegnava la definizione salariale a una contrattazione collettiva che si è rivelata assai complicata, soprattutto a causa della malcelata contrarietà del nuovo Ministero (e non solo) nei confronti di una figura considerata inutilmente costosa.
Ora, la c.d. cassetta degli attrezzi vanifica quanto di positivo in termini di diritti dei lavoratori era stato previsto dalla Legge 79, poiché affianca al contratto di ricerca altre tre figure pre-ruolo, ovvero il contratto post-doc, le borse di assistenza junior e quelle senior, caratterizzate da minori tutele e ovviamente meno costose e “impegnative”, tra cui gli Atenei potranno scegliere, ed aggiungendo un massimo di altri nove anni di precariato ai cinque del contratto di ricerca. Inoltre, mentre l’impianto della Legge 79 rafforzava la progressività nella carriera del ricercatore, evitando la possibilità di retrocessioni a ruoli di livello inferiore, con l’attuale proposta di DdL si potrebbe tranquillamente (e tristemente) passare da una figura all’altra senza criterio o quasi: ad esempio, un post-doc può venire dopo un contratto di ricerca, o, addirittura e paradossalmente, nulla vieta di essere prima assistente senior e poi junior.
Aggiungiamo anche, ad aumentare l’arbitrio e la potenziale negazione del “merito” tanto sbandierato come criterio prioritario da parte dell’attuale esecutivo, che per alcune di queste figure non è nemmeno prevista una vera procedura selettiva. Come se non bastasse, uno degli istituti massimamente precarizzanti – per la verità sopravvissuto anche alla Legge 79 – ovvero la borsa post-lauream ex art. 4, Legge n. 210/1998, recante “Norme per il reclutamento dei ricercatori e dei professori universitari di ruolo”, continua a esistere, aleggiando come un inquietante “tappabuchi” nella carriera precaria e frastagliata anche dei ricercatori meno giovani e più qualificati.
Last but not least, il DdL introduce ancora un’altra figura, quella del professore aggiunto, dai connotati estremamente vaghi e con la dichiarata funzione di accogliere nel mondo accademico esperti e professionisti, nel segno della flessibilità. Si tratterebbe di una sorta di professore a contratto, il cui rapporto con l’istituzione risulterebbe però più duraturo (fino a 3 anni) e potrebbe prevedere non soltanto didattica ma pure ricerca e terza missione. Il tratto potenzialmente più pericoloso di una simile figura riguarda il trattamento economico, la cui entità è lasciata alla libera contrattazione tra l’Ateneo e l’interessato/a, scelto/a anche in questo caso senza una formale valutazione comparativa. È evidente quanto una figura simile possa favorire un ulteriore indebolimento della posizione di giovani ricercatori e ricercatrici, che subirebbero una concorrenza impropria da parte di persone che potrebbero permettersi di lavorare quasi gratis per l’Università.
Il taglio al FFO
È piuttosto ovvio, ma giova sottolinearlo, che dinanzi a questa ennesima “riforma” non sono solamente le precarie e i precari della ricerca, ma tutte le componenti della comunità accademica a dover essere preoccupate/i: la tenuta dell’intero sistema universitario è infatti a rischio. Già ora l’Università italiana ha una limitata capacità di attrarre personale straniero e di arrestare l’emorragia di cervelli eccellenti per ragioni ben note (stipendi più bassi che all’estero, scarse risorse “ordinarie” per la ricerca, alto grado di burocratizzazione del lavoro, etc.). La prospettata deregulation contrattuale non potrà che peggiorare questa situazione, provocando un complessivo impoverimento non solo quantitativo ma anche qualitativo dell’Accademia italiana, a partire dagli Atenei già meno ricchi e con un ulteriore aumento delle disparità. Tutto questo promette di rendere più difficile e meno efficace il lavoro di tutte e tutti noi, strutturati e non.
Ma c’è di peggio. Sempre durante l’estate (inizio luglio) è stata resa pubblica la bozza riguardante il Fondo di Finanziamento Ordinario per il 2024, che prevede una pesante riduzione, quantificabile in oltre 500 Milioni di Euro rispetto al 2023. Tale bozza, come era lecito aspettarsi, è stata subito decisamente contestata dalla CRUI, con grande irritazione da parte della Ministra.
Le conseguenze di un simile taglio saranno prevedibilmente drammatiche per il futuro della Ricerca, dell’Università e quindi del Paese, che già spende una percentuale esigua del PIL in questi settori. Ciò risulta tanto più evidente se si considerano, come riteniamo sensato fare, le iniziative del Ministero nel loro complesso: un decremento del FFO che non si vedeva da almeno un decennio, un DdL che – lo si è visto – promette maggiore precarizzazione del pre-ruolo e l’autorizzazione, contenuta nel DL n. 71 del 31 maggio 2024, convertito dalla Legge n. 196 del 29 luglio 2024, a dirottare i fondi ancora non spesi dei “piani straordinari” per l’arruolamento (predisposti dalla Ministra Messa fino al 2027) sulla copertura dei maggiori oneri salariali del personale determinati dai recenti adeguamenti dei salari all’inflazione e stimabili in centinaia di milioni di euro l’anno.
Così il governo, pur diminuendo il finanziamento agli Atenei, permette loro di sopravvivere purché non assumano nuovo personale e congelino le progressioni di carriera di chi è già in servizio.
Occorre mobilitarsi
Vista in quest’ottica, la “cassetta degli attrezzi” è sintomo e sarà strumento di una politica che sembra mirare, deliberatamente o per ignoranza, allo smantellamento del sistema universitario nazionale: invece dell’auspicato aumento dei fondi disponibili, che permetterebbe di colmare il divario con altri Paesi europei sia in termini di numero di laureati che di rapporto docenti-studenti, assistiamo ad una cospicua riduzione che si tradurrà in un peggioramento delle condizioni di lavoro per docenti e PTA, della qualità della ricerca e, non ultima, dell’offerta formativa per studentesse e studenti.
Non ci rimane, come Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato, che continuare a vigilare, cercando sempre un’interlocuzione franca e costruttiva con tutti gli attori coinvolti, consapevoli tuttavia che occorre una decisa e larga mobilitazione per non assistere passivamente allo sfacelo dell’Università italiana.
Roma, 9 settembre 2024
L’Associazione dei Ricercatori a Tempo Determinato (ARTeD)